A scuola a cinque anni


IMG-20150421-WA0005

A SCUOLA A CINQUE ANNI

La almeno fin qui pedissequa acquiescienza ai diktat europei in ogni settore – connaturati all’origine frammentaria dell’unione e alla illogica assimilazione agli USA, alla Germania, alla Svizzera, realtà del tutto diverse  storicamente, socialmente, e politicamente – si manifesta nel mondo della scuola, nella ventilata riduzione del quinquennio degli istituti secondari di 2° grado ad un quadriennio, per uniformarsi agli altri Paesi europei e far accedere i giovani all’università o al mondo del lavoro a 18  anziché a 19 anni.

Data, per mera ipotesi, per scontata tale necessità, il Ministro – non onnisciente come ogni essere umano, compresi i rettori d’università – si consulti col mondo della scuola e con i propri dirigenti amministrativi e tecnici sulla possibilità di conseguire lo stesso risultato non già sopprimendo un anno di studi, ma anticipandone l’inizio a 5 anni, essendo di comune esperienza che oggi, a 5 anni, si è sufficientemente maturi per ogni apprendimento.

E si consulti anche con i sindacati sia della scuola sia del personale amministrativo per i riflessi  da cui non si può prescindere sotto il profilo occupazionale del personale.

Non è certo a caso che il Presidente della Repubblica, nel suo discorso di insediamento, ha posto il diritto allo studio “ come primo campo nel quale dare prova di concreta fedeltà alla costituzione “ ( Riccardo Franco Levi: scuola dell’obbligo dai 5 anni, Corr. Sera del 19.2.15, pag.30 ).

Il primo passo per garantire a tutti uguaglianza dell’acquisizione del sapere  è utilizzare la capacità dei bambini di assorbire conoscenza in funzione di quella rimozione degli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza garantite dall’art. 3 della costituzione, conclude l’articolista.

Noi aggiungiamo, su un piano pragmatico, che questo “ travaso “ di alunni dal 3° anno della Materna al 1° anno dell’ elementare non creerebbe squilibri di organici: basta recuperare i nuovi insegnanti elementari fra quelli della scuola materna muniti di idoneo titolo ( e moltissimi lo sono di abilitazione magistrale o maturità magistrale che dirsi voglia ).

La necessità di avere diplomati diciottenni anziché diciannovenni è stata data solo come ipotesi.

Nei fatti le varie valutazioni dei risultati della scuola, non pongono in una posizione onorevole la scuola italiana, benchè quinquennale.

Ora, a parte la relatività di ogni giudizio, a parte le molte carenze della nostra scuola, la riduzione del quinquennio a quadriennio della secondaria di 2° grado obbligherebbe ad ammucchiare i saperi necessari aumentandone l’approssimazione e la superficialità.

Pensi il Ministro che i 200 giorni di lezione annui, stabiliti da una legge dello stato, nei fatti si riducono si e no a 150, del tutto insufficienti allo svolgimento dei programmi.

Ogni scusa è buona: il maltempo, la forzata partecipazione degli studenti a conferenze e dibattiti ( spesso inutili alla formazione dei giovani ) che  regioni, provincie, comuni ed enti vari organizzano e gli studenti servono solo a riempire le sale altrimenti vuote.

E qui, senza volerlo, si è veuto a toccare un punctum dolens: quello – che ha riflessi costituzionali – della competenza ripartita in materia scolastica, fra lo stato, le regioni e gli altri enti.

Se la scuola è statale o paritaria, occorre che sia lo stesso stato a governarla; altrimenti nasce il legittimo sospetto che il potere industriale-finanziario-politico purtroppo imperante in Europa e anche da noi, mini, nella sua pervicace volontà privatistica a distruggere la scuola di stato e a privatizzarla.

Comincia a guadagnare terreno la cosiddetta c.d. clausola di supremazia: su proposta del governo la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva ( delle regioni ) quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale.

Lo vado dicendo e scrivendo da anni: ci vuole più Stato, più Stato, più Stato.

 

                                                                                                Antonio Anzani